Valdinievole OGGI La Voce di Pistoia
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Come fa tradizione , nel periodo pre elettorale la città pullula di lavori. Niente di particolare ma essenzialmente "rattoppi" , asfaltatura di brevi tratti , riparazione di tratti di marciapiedi .....
BASKET

A.S. Estra Pistoia Basket comunica che, in occasione della gara-2 dei quarti di finale Playoff UnipolSai Lba, il play-guardia Lorenzo Saccaggi ha raggiunto un traguardo molto importante all’interno della storia del club. 

PODISMO

In clima di festa si e disputa nella località di Valdibrana all’estrema periferia di Pistoia la edizione numero due della staffetta 3x 2,400 km in memoria di Paolo Piccardi, organizzata dalla locale Pro Loco con la collaborazione tecnica della Pistoia Atletica 1983 e l’egida dei giudici della Uisp Pistoia.

BOXE

Il prossimo 18 maggio la boxe Giuliano organizza il quinto memorial Rudy. La riunione sarà divisa in due orari separati. Dalle 16 ci saranno incontri dilettanti e dalle 21 ci saranno incontri sempre dilettanti e due di  professionisti.

BASKET

Nella giornata di mercoledì 15 maggio, Legabasket ha ufficializzato importanti riconoscimenti per la stagione sportiva 2023/24. Fra questi quello di “Lba Executive of the Year”, ovvero il premio al miglior dirigente di club.

BASKET

La stagione del Pistoia Basket Junior è tutt’altro che finita e, anzi, è in arrivo un altro nuovo importante appuntamento a livello nazionale dopo la disputa, a fine aprile, delle finali Under19 Eccellenza.

PODISMO

Altro weekend eccellente per i podisti della Silvano Fedi, con due titoli italiani e tanti piazzamenti di livello.

CALCIO

Il presidente della Larcianese Alessandro Dami, a nome di tutto il consiglio della società, comunica ufficialmente che il nuovo direttore sportivo sarà Gabriele Cerri.

BASKET

Il copione visto in gara-1 al PalaLeonessa non cambia nemmeno nella seconda partita della serie dei quarti di finale dei Playoff UnipolSai Lba 2023/24.

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Domenica 19 maggio alle ore 17 al Museo della città e del territorio, nell'antica Osteria dei Pellegrini.

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Raccontami un libro, di Maria Valantina Luccioli

Ferragosto nella valle
quanto caldo che mi assale.

La grande .....
ZODIACO
di Sissy Raffaelli

Oroscopo maggio 2024

IL SEGNO DEL MESE
di Sissy Raffaelli

Segno del mese

Con l’evento tenutosi oggi 22 marzo presso la filiale di Cascina .....
L'agenzia formativa e per il lavoro Cescot Pistoia ricerca addetto/ .....
ECONOMIA E FINANZA
di Pietro Gramaglia
La nostra Italia dopo la crisi tra verità nascoste, una lenta ripresa e la voglia di riscatto

20/2/2018 - 9:55

A dieci anni dal disastro finanziario globale partito dagli Stati Uniti e che poi si è esteso come un’onda anomala a tutti i Paesi del mondo, le persone ancora si chiedono cosa sia realmente successo, cosa si nasconda, di fatto, dietro a tutti quei termini tecnici di borsa (subprime, collateral, agenzie di rating) relativi agli strumenti finanziari che hanno causato tali danni e cosa abbia scatenato di preciso questo domino letale che ha messo in ginocchio imprenditori piccoli, medi e grandi, che ha mandato in bancarotta alcuni Stati, che ha fatto perdere il lavoro a centinaia di migliaia di persone e che ha bruciato miliardi di euro di risparmio privato e pubblico.
Ancora oggi le persone si chiedono se è realmente finita la recessione, diffidenti dei dati positivi ma incerti sull’economia, in particolare quella del nostro Paese, ma soprattutto diffidenti delle istituzioni che avrebbero dovuto proteggerli da ogni tipo di minaccia, non solo di tipo militare ma anche finanziaria. Ancora oggi, dopo dieci anni, esistono delle ombre sulle vicende di quegli anni, nascoste a volte con comportamenti che stranamente ricordano i depistaggi sulle stragi del passato. Poco si sa per certo, ma molto si suppone sulla strage di Ustica o su quella di piazza Fontana o a Bologna, così come poco si sa per certo ma molto si suppone sulla morte di David Rossi (ex manager Mps) o sul crollo di molte banche italiane che hanno bruciato risparmi e capitali sociali in pochi mesi. Ogni epoca ha i suoi segreti e ogni strage ha le sue vittime.


Nel 2007 il contesto mondiale mostrava segnali di espansione in quasi tutti i settori, di intensificazione degli scambi commerciali, dei flussi finanziari, delle nuove applicazioni matematiche, tecnologiche, mediche e psicologiche a tutti i campi fino a quel momento conosciuti; di fatto era in corso un melting pot delle intelligenze umane, un continuo mescolarsi delle scoperte per applicazioni in vari settori, paralleli o a volte anche totalmente estranei. Il mondo insomma stava vivendo un’era di partecipazione collettiva e competitiva al progresso della razza umana, una sorta di rinascimento 2.0 che ha visto in quegli anni l’apice a partire dal crollo del muro di Berlino. Il progresso però va saputo guidare, saggiamente aggiungerei.


È stata proprio una delle scoperte di quegli anni che ha portato alla crisi del 2008; dagli anni ’90 in poi si è infatti sviluppata una nuova forma di invenzione/gestione dei flussi finanziari: l’ingegneria finanziaria. Con questa si intende una particolare sofisticazione della gestione finanziaria e viene definita ufficialmente da diversi esperti come “La combinazione di diversi strumenti già esistenti per creare nuovi prodotti finanziari” (Brealey-Myers) o come “L’uso dei derivati per gestire il rischio e creare strumenti finanziari personalizzati” (Peter Tufano) o ancora (la mia preferita) “L’applicazione dei metodi di ingegneria alla finanza. Un’area di studio in cui si uniscono il disegno, l’analisi e la costruzione di nuovi modelli economici finanziari” (descrizione del Master in Financial Engineering della Cornell Univerity); per fare un paragone è come se si unissero l’ingegneria civile per l’edilizia e la consulenza economico finanziaria in materia di investimenti. Di per sé questa materia è, oltre che necessaria, anche utile. Necessaria perché il continuo aumentare del volume degli scambi commerciali e delle ricchezze delle economie globali (spinte dalla crescita demografica e dai nuovi bisogni) portano inevitabilmente a un aumento della moneta in circolazione che, per motivi di pratica utilità, viene sempre più convertita in transazioni “virtuali” che devono poi trovare la cosiddetta “allocazione” a seconda delle esigenze e delle volontà dell’individuo che la detiene. In sostanza, quando più individui detengono una considerevole quantità di moneta, questa viene rimessa in circolo grazie agli strumenti finanziari ma in modo tale che si possa assicurare un ritorno con profitto o almeno senza perdite (investimenti più rischiosi ma più redditizi o investimenti a zero rischi per la conservazione del capitale); in questo modo convivono la bassa propensione al rischio di chi ha già tanto con la necessità di rischiare molto di chi ha poco, ecco perché è anche utile.


Questa breve descrizione mostra quanto siano strategicamente importanti sia gli strumenti finanziari che il metodo con il quale vengono gestiti. Si iniziò quindi a parlare di ingegneria finanziaria quando la sempre maggiore quantità di moneta da allocare correttamente fece sentire la necessità di creare nuovi strumenti finanziari e nuove metodologie di analisi e gestione degli stessi. Insomma, era come se vi fossero una domanda e un’offerta mondiale nascoste: la domanda era costituita dalla necessità di collocare i capitali in prodotti sempre più numerosi e diversificati, mentre l’offerta erano i classici titoli di stato, fondi azionari, etf, fondi obbligazionari, fondi pensionistici, obbligazioni bancarie, futures, contratti di opzione con diritto di riscatto e chi più ne ha più ne metta. L’offerta è dunque aumentata e lo strumento di creazione di nuova offerta è stata l’ingegneria finanziaria.


Ora, su questo tutti d’accordo, ma la creazione di nuovi modelli e strumenti presuppone un elemento fondamentale, il buonsenso. Il buonsenso infatti permette di capire facilmente che un ritorno con profitto o almeno una conservazione del capitale esistono se esiste un’economia in forte crescita o almeno con una crescita lenta ma robusta e, pertanto, occorre che l’economia reale sia solida e sicura. Insomma, ritornando ai concetti dell’ingegneria, perché si possa costruire un grattacielo di 600 metri occorre che la struttura e le fondamenta siano più solide che mai. Il sistema di controllo qui assume un’importanza fondamentale. Le istituzioni, in un contesto simile, dovrebbero infatti garantire che la struttura economica alla base della società sia in grado di reggere i piani finanziari sovrastanti. Nei primi anni 2000 si continuavano a costruire piani senza però accorgersi che le fondamenta iniziavano a creparsi.


Le prime crepe hanno iniziato a esserci quando il mercato era saturo, cioè, ritornando al concetto della domanda e dell’offerta, quando l’offerta di nuovi e sempre più sofisticati strumenti finanziari era pari alla domanda. Il mercato saturo però è un problema per chi produce quegli strumenti, le banche, che vedrebbero ridursi l’espansione dei profitti derivanti dalla loro distribuzione (profitti che smetterebbero di crescere e non di esistere). In pratica, l’eccesso di avarizia da parte di alcune banche ha portato a una sovrapproduzione di strumenti finanziari derivati o strutturati. Prima di esaminare i danni che questo comportamento ha causato e di analizzare come esattamente abbiano distorto il mercato finanziario, occorre fare una doverosa precisazione. Gli istituti di credito europei hanno sempre adottato una politica aziendale tradizionalmente più garantista, meno orientata alla speculazione, grazie a una maggior distinzione tra fondi speculativi e reti di raccolta del risparmio. In pratica, in Europa, c’era e c’è un giusto concetto di “compartimenti stagni”. Il risparmio raccolto viene gestito con minor propensione al rischio, eventualmente derivante dalle gestioni dei fondi speculativi, degli hedge funds e dei private equity, rispetto al continente americano. Ciò causa una minore redditività ma una maggior copertura dal rischio visto che se gli strumenti più rischiosi dovessero fallire le perdite si limiterebbero a quei comparti. Nessuno poteva prevedere però che anche gli strumenti finanziari considerati più sicuri sarebbero falliti. La sovrapproduzione di strumenti di raccolta, nel continente americano, era arrivata a livelli così alti tali da rendere la maggior parte delle obbligazioni bancarie garantite da mutui non più sicure. Le banche americane avevano venduto una quantità incredibile di obbligazioni (considerate tra le più sicure al mondo) che avrebbero dovuto essere ripagate dalle persone e dalle imprese che avevano richiesto quei mutui e quei prestiti. Il circolo del denaro era quindi: azienda beta restituisce 100 di capitale e 30 di interessi alla banca che gira 120 al titolare dell’obbligazione bancaria, la banca dunque, in qualità di intermediario finanziario procedeva a regolare il flusso da chi rimborsava i mutui (famiglie e imprese) a chi forniva il denaro perché i mutui venissero erogati (acquirenti di obbligazioni bancarie) ovviamente con un margine di guadagno, nel nostro caso 10. Ma esattamente perché quelle obbligazioni non erano sicure? Perché le banche americane le avevano collegate a finanziamenti che venivano concessi con grande non chalance, a volte senza neanche controllo sui redditi, praticamente sulla fiducia. Nel momento in cui quei finanziamenti non hanno trovato rimborso le obbligazioni bancarie sono fallite e sono, di fatto, spariti miliardi in pochi mesi. Chi avrebbe dovuto controllare sull’attività delle banche? Nel nostro continente le autorità preposte a tali controlli funzionavano anche se necessitavano di potenziamenti, ma negli Stati Uniti a quanto pare no. Le prime a commettere un errore sono state le agenzie di rating che erano i soggetti a cui era affidato il compito di valutare se uno strumento finanziario è più o meno sicuro. Queste agenzie però sono private e, come si sa, una mano lava l’altra; le agenzie di rating davano una buona valutazione delle obbligazioni bancarie e le banche le potevano vendere in tutto il mondo; avevano, per eccesso di avarizia, creato un circolo vizioso. La cosa peggiore è stata però che non si sono destate neanche le autorità pubbliche che avrebbero dovuto controllare sia le banche che le agenzie di rating e cioè, il governo americano e la Federal Reserve.


A quel punto la situazione era critica, la banche di tutto il mondo (anche quelle italiane) erano piene di obbligazioni degli istituti americani e, una volta fallite, tra il 2007 e il 2008, a catena tutti gli istituti che avevano questi strumenti hanno riportato perdite pesantissime, alcune come sappiamo sono fallite. Non è stata la sconosciuta e nuova ingegneria finanziaria a portare al disastro ma l’eccessiva avarizia di alcuni grossi operatori che hanno oltretutto fatto pressione sugli istituti pubblici che avrebbero dovuto garantire il corretto funzionamento del mercato. Mark Twain scriveva “non è ciò che non conosci che ti mette nei guai, è ciò che dai per certo che non lo è”, abbiamo dato per scontato che i grandi operatori avessero buonsenso.


Subito dopo la crisi le banche americane, a parte quelle che andarono subito in bancarotta, furono risanate con dei salvataggi pubblici, quindi con i soldi dei cittadini. Alcuni istituti continuarono però a liquidare ai loro manager ricchi bonus e il governo americano non riuscì mai a effettuare le grandi riforme sulla regolamentazione di quei mercati finanziari. Dopo il crollo i danni furono spaventosi: erano spariti 5 miliardi di dollari di risparmi pensionistici, di valore di beni immobiliari, di depositi e titoli; 8 milioni di persone persero il lavoro, 6 milioni di persone persero la casa, e questo solo negli Stati Uniti. La desolazione economico sociale che conseguì fu disastrosa e ha portato alla politica sempre più aggressiva che vediamo oggi, ha portato all’era Trump. La cosa che fa riflettere è che Trump ha impostato la maggior parte dei sui discorsi elettorali contro gli immigrati e la povera gente. Insomma, oltre al danno di vedersi rasa al suolo un’intera economia i cittadini americani hanno ricevuto anche la beffa di eleggere un Presidente che ha manipolato il loro odio e la loro disperazione, un Presidente che, tra l’altro, era uno di quei grandi operatori.


Qual è adesso la situazione dell’economia globale, in particolare in Europa e nello specifico in Italia? Nel 2008 il numero dei Paesi con un pil negativo, cioè in recessione erano 94, secondo una proiezione del Sole 24 ore nel 2018 saranno solo 6. Molti sostengono che l’economia globale abbia messo il vento in poppa e che stia finalmente ripartendo. Nell’eurozona gli andamenti molto favorevoli degli indicatori suggeriscono il protrarsi di una robusta espansione del pil in termini reali nel breve periodo. Nel medio periodo la crescita è ancora sorretta dalle favorevoli condizioni di finanziamento, dal miglioramento nei mercati del lavoro e dalla perdurante ripresa dell’economia mondiale. L’attuale clima di fiducia molto favorevole a livello di consumatori, gli ulteriori miglioramenti delle condizioni nei mercati del lavoro e l’aumento dei salari reali per occupato stanno a indicare il protrarsi di una solida espansione dei consumi nei prossimi trimestri. La dinamica dei consumi privati dovrebbe essere sostenuta anche dal miglioramento delle condizioni del credito bancario, rafforzato dalle misure di politica monetaria della Bce e dai progressi realizzati nella riduzione della leva finanziaria. Gli investimenti delle imprese hanno recuperato nei trimestri recenti e dovrebbero continuare a espandersi nel periodo in esame, seppure a ritmi decrescenti. Il ritmo sostenuto di espansione dell’economia mondiale si è protratto nella seconda metà del 2017 e la crescita sia dell’attività sia dell’interscambio è divenuta più generalizzata. La crescita dell’interscambio mondiale, eccezionalmente elevata nella prima metà del 2017, dovrebbe rimanere robusta nei prossimi trimestri in linea con gli andamenti favorevoli degli indicatori del commercio internazionale.


L’Italia, grazie ad alcuni interventi previsti nelle riforme del governo Renzi, ha saputo sfruttare l’occasione di ripartenza e può finalmente ritoccare le stime di crescita del pil all’insù, come infatti l’Istat sta facendo. L’attività economica sarebbe trainata principalmente dalla domanda interna; il contributo di quella estera netta, lievemente negativo nell’anno in corso, tornerebbe positivo nel biennio 2019-2020. Nel 2020 il pil sarebbe inferiore di circa l’1,5 per cento rispetto al livello del 2007, con un recupero di circa nove decimi della caduta subita tra il 2008 e il 2013. Si valuta che nel complesso questo andamento del prodotto continui a beneficiare del supporto delle politiche economiche espansive, anche se in misura relativamente inferiore rispetto al passato. Ciò riflette, da un lato, la graduale rimozione dello stimolo monetario attesa dai mercati, dall’altro un crescente sostegno autonomo alla domanda interna proveniente dal miglioramento delle prospettive del reddito disponibile delle famiglie e dalla riduzione della capacità inutilizzata delle imprese. Occorre precisare che esiste una netta differenza tra economia globale o nazionale, economia reale ed economia percepita. Questo è il momento in cui l’economia globale e quindi anche quella del nostro Paese ha ricominciato a crescere, in cui l’economia reale (imprese) ha ricostruito le basi per una ripartenza, seppur debole, ma anche il momento in cui le famiglie e i piccoli imprenditori non hanno ancora avvertito i benefici della ripresa. Difatti, se è vero che le grandi aziende hanno di nuovo un segno più sui loro bilanci è anche vero che i livelli salariali sono ai minimi, la qualità del lavoro non è ottima causa l’alto livello di precarietà.


Adesso è il turno della politica, come Trump negli Stati Uniti, anche in Europa si è assistito all’ascesa di movimenti politici sempre più aggressivi che raccolgono l’odio e la disperazione delle persone. In Italia a breve si andrà al voto e i sondaggi sembrano proiettare una situazione simile a quella negli Stati Uniti due anni fa. Insomma gli italiani sembrano destinati a una beffa, come gli americani. Sembra proprio che sia più facile votare usando la rabbia, la disperazione, la protesta o l’odio, piuttosto che votare usando la ragione.

di Pietro Gramaglia

 
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