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PESCIA
Le regole della libertà, Costituzione, videogame e...torta di mele: Gherardo Colombo ospite al Palagio

22/10/2019 - 10:20

«Che cos’è una regola?». Con questa domanda inizia l’intervento di Gherardo Colombo al Palagio. Poi si toglie la giacca, afferra il microfono e si mischia nella platea. A comporla è una delegazione di ragazzi degli istituti superiori della città: sono soprattutto studenti del liceo Lorenzini che hanno preso parte, sotto la guida della prof.ssa Samanta Selvaggi, del progetto «Costituzione. Una bussola per la democrazia» organizzato dall’Anpi.


Gherardo Colombo, simbolo della magistratura italiana. Il suo nome è legato alle indagini sul delitto Ambrosoli, sulla Loggia P2, sul lodo Mondadori ma è da tutti associato in primo luogo all’inchiesta Mani pulite. Lasciata la magistratura, ha fondato, nel 2010, l’associazione Sulle regole, la cui finalità è promuovere la riflessione sul senso della giustizia, sulla Costituzione e sul rispetto della legalità attraverso incontri con gli studenti e le scuole.


Il suo intervento al Palagio, difatti, è stato un dialogo, non una lectio magistralis. Ha invitato pazientemente, senza sottrarsi all’ironia e allo scherzo, a rispondere e riflettere alla domanda. Dai videogame a don Rodrigo, dalla ricetta della torta di mele alla discriminazione del «lei» e del «tu». La regola non è un’imposizione, ha detto. L’imposizione priva l’individuo della responsabilità. La regola è un aiuto, uno strumento che ci consente di giungere all’obiettivo: «Se vuoi fare la torta di mele deve usare gli ingredienti. È necessario. Se vuoi diventare libero è necessario seguire la Costituzione». A questo serve dunque la Costituzione, a comprendere le regole al fine di essere liberi. Considerando il testo nel suo complesso i diritti hanno la precedenza sui doveri. È una questione aritmetica: i diritti sono menzionati 47 volti, i doveri 17. Ma dove comincia la Costituzione? Questa è la seconda domanda.


Seguendo la lezione di Piero Calamandrei, dall’articolo 3. «La prima parte dell’articolo 3 – queste le parole di Colombo – dice che tutti noi siamo importanti e lo siamo quanto gli altri». Da questo articolo seguono logicamente tutti gli altri, anche il primo. Ma ciò non basta a rendere la Costituzione «vera». I principi che afferma rimangono lettera morta se non applicati. È facile rendersi contro di quanto poco la Costituzione abbia imposto il suo linguaggio di libertà. Basta chiedersi quante sono le donne che abbiano ricoperto incarichi istituzionali o interrogarsi sul numero di moschee presenti nel Paese. La Costituzione, allora, non è vera. Da chi dipende? Questa è la terza domanda.


La risposta è: da tutti noi. Basta tirarsi indietro dai propri doveri per cedere il posto alla «cultura dell’imbroglio», alla cultura di chi violando l’articolo 3, spesso in forme subdole e non appariscenti, barando perché tanto non mi vede nessuno o tanto lo fanno tutti, reintroduce quelle differenze tra le persone che la Costituzione aveva cercato di cancellare, dopo la vergogna delle leggi razziali: «Tutte le volte che la cultura, intesa come modo generale di pensare, e le regole confliggono, vince la cultura». Per questo Colombo si rivolge ai giovani e lo fa incessantemente da anni, e lo ha fatto anche a Pescia. Perché i ragazzi sono più liberi degli adulti, sostiene; hanno fatto meno scelte e non sono ancora condannati ad ammettere di aver commesso un errore. «Ho sbagliato» è forse la cosa più difficile da ammettere – e in effetti nemmeno Adamo lo ha detto; si è limitato, come facciamo noi a indicare in altri la responsabilità. I più giovani sono quindi liberi. La loro libertà risiede nella scelta. Scegliere non è altro che decidere cosa prendere tra una serie di alternative, e cosa lasciare. Attraverso la scelta capiamo di non essere onnipotenti. E visto che la Costituzione ci guida nelle nostre scelte, la sua è una lezione di umanità. Si potrebbe dire che ci aiuta a uscire dall’età infantile, in cui pretendiamo che tutto sia al nostro comando, all’età matura, in cui comprendiamo il nostro valore in relazione agli altri.


Di fronte alla violenza, alla violazione sempre più palese delle regole e dei diritti, viene da chiedersi quale sia l’origine. Perché tutta questa rabbia che ci fa inveire contro gli altri, contro gli invasori, contro le donne, contro chi ha religione e usi diversi? «La rabbia di questo mondo – conclude Gherardo Colombo – dipende dal fatto che non ci riconosciamo l’uno con l’altro. E non ci riconosciamo l’uno con l’altro perché vorremmo essere Dio».


di Giorgio Scrofani 

 
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