Valdinievole OGGI La Voce di Pistoia
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VALDINIEVOLE STORICA
di Giancarlo Fioretti
Francesco Forti: la storia e la vita di un intellettuale con la mente cosmopolita

20/3/2016 - 14:00

Vi sono persone che rincorrono la fama per anni ed anni, magari senza riuscirvi. A Francesco Forti, invece, è stata sufficiente una vita, aimè, sin troppo breve per essere ricordato come uno dei più importanti giuristi e letterati italiani dell'Ottocento. Morì infatti a Firenze nel 1838, a soli trentadue anni, quando, sull'Italia ancora divisa in ducati e signorie, iniziavano a stendersi le nubi della burrasca rivoluzionaria che culminerà nell'Unità nazionale del 1861.

 

Una rivoluzione, quella risorgimentale, a dire il vero mancata, come giustamente sostenne Antonio Gramsci. Le forze della conservazione gettarono l'abito clericale e vestirono quello liberale, in un trasformismo che Visconti rappresentò stupendamente nel celebre film 'Il Gattopardo'. Ma, nei primi decenni dell'Ottocento, la cosiddetta 'meglio gioventù', quella colta, nutrita magari di buone letture illuministe, non potè far altro che gettarsi a capofitto in quel sogno risorgimentale che pareva offrire un riscatto all'intera nazione. Francesco Forti faceva parte di questa gioventù istruita.

 

Era nato a Pescia in una famiglia aristocratica, dominata dall'ingombrante figura paterna. Anton Cosimo Forti era un giurista, di quelli dediti non tanto alla disquisizione delle cause quanto piuttosto all'erudizione fine a sé stessa. Rabbrividiva di fronte ad ogni prospettiva di cambiamento e vedeva in Santa Romana Ecclesia la soluzione per ogni male che potesse affliggere l'umanità.

 

Eppure anche lui, che vagamente ricorda il cupo e triste Conte Monaldo padre dell'allora incompreso Giacomo Leopardi, nella vita volle provare l'ebbrezza di qualcosa di ... anticonformista. Questa 'botta di vita' fu il suo amore ed il conseguente matrimonio con Serine Simonde de Sismondi, bella e colta ragazza ginevrina, sorella del celebre economista Jean Charles Leonard Sismondi. La nobile famiglia Sismondi era originaria di Pisa, ma dovette abbandonare l'Italia verso la fine del 1500 per aver abbracciato la Riforma Protestante. Dopo un soggiorno nel Delfinato, in Francia, la famiglia si stabilì a Ginevra, ove assorbì le idee di Calvino. Per la mentalità gretta e provinciale che allora imperava in Italia, l'opzione di questo casato fu giudicato alla stregua di un tradimento. Ancora più grave  visto che compierlo era stata una famiglia dall'antichissima nobiltà, citata addirittura da Dante Alighieri nella Divina Commedia.

 

Serine, pur provenendo da un mondo totalmente diverso, si ambientò bene nella Pescia di inizi Ottocento. Amava quell'uomo austero, anche se talvolta le dispute su argomenti scientifici e politici facevano aumentare i decibel nel bel palazzo nobiliare ove la famiglia risiedeva. Uno dei motivi del contendere era, come è logico, il tipo di istruzione da impartire ai figli. La madre avrebbe preferito un approccio umanista e cosmopolita alla cultura. Il padre, invece spedì sia Francesco che suo fratello Pietro al collegio del Seminario vescovile di Pescia.

 

Francesco sfuggì al potenziale abbraccio con l'abito talare. Il fratello no, diventando negli anni centrali dell'Ottocento Vescovo della Diocesi cittadina. Francesco oppose al padre il suo 'gran 'rifiuto' a proseguire gli studi in seminario. Il padre lo inviò allora presso il Collegio dei Padri Scolopi di Firenze. Non si trattava certamente del massimo della laicità, ma almeno il giovane Francesco ebbe modo di sottrarsi dalla tutela paterna e dall' oppressivo clima provinciale che si respirava a Pescia per poter respirare a pieni polmoni le prime brezze liberali che increspavano le acque dell'Arno. A Firenze ebbe modo di allacciare, praticamente per la prima volta, i rapporti con suo zio Jean Charles, sul cui conto pendeva l'ostracismo paterno. Jean Charles Sismondi dette al nipote il meglio del suo insegnamento liberale, che per Francesco rappresentò sempre una bussola di primaria importanza. Temendo quindi che il figlio si nutrisse troppo di idee 'sovversive', papà Anton Cosimo lo spedì a Pisa presso la Facoltà di Diritto, una volta che ebbe terminato gli studi liceali. Ma il vento liberale soffiava anche intorno alla Torre Pendente. A Pisa, infatti, Francesco entrò in contatto con i circoli studenteschi democratici, ove era peraltro attivo il giovane e scanzonato poeta monsummanese Giuseppe Giusti. Divennero amici, iniziando quindi a propagare in Valdinievole le idee risorgimentali. Il Giusti sul versante poetico e polemico, il Forti, almeno inizialmente, sul versante giuridico.


Dopotutto, a differenza del Giusti, Francesco Forti era uno studente modello e conseguì la laurea nei tempi previsti. Conseguita la laurea tornò nella città del suo cuore: Firenze. Qua formò un sodalizio con intellettuali liberali come Pietro Giordani, Gino Capponi e soprattutto con Gian Pietro Viessieux. Fu proprio grazie all'azione convergente di questi studiosi se Firenze riuscì a porsi alla guida morale del movimento risorgimentale. Intanto nel 1832 arrivò per il Forti anche la gratificazione professionale della nomina a Secondo Sostituto dell'Avvocato generale, una sorta di moderno giudice istruttore. Dopo un momento di gioia, i dubbi su questo impegno iniziarono a tormentarlo. L'eccessiva mole di lavoro lo distoglieva da quella che era diventata la sua principale passione: il giornalismo letterario. Era infatti diventato uno dei pilastri della rivista fiorentina L'Antologia, fiorita intorno al circolo di Gian Piero Viessieux. Le pagine dell' Antologia permearono la cultura italiana di nuove prospettive. I semi dell'illuminismo stavano sbocciando, seppure in un terreno arido come l'Italia. Quando, nel 1837, fu destinato alle cause civili, il Francesco ne gioì profondamente. Quello che per qualsiasi altro giurista poteva essere considerato come un declassamento, per lui fu invece un trionfo. Un'affermazione dell'essere sull'avere, in quanto poteva garantirgli un impegno più costante e continuativo con il giornalismo. La sua felicità durò purtroppo poco. L'anno successivo si ammalò e morì, in un battito di ciglia, a soli 32 anni. 

Come facciamo sempre indichiamo un libro, un luogo ed un lascito morale per meglio definire il personaggio.

LUOGO: La cappella di Villa Il Riposo a Sant'Allucio, nel comune di Uzzano. All'epoca era la casa di campagna della famiglia Forti e lì fu sepolto.ù

LIBRO: Le sue opere furono raccolte e pubblicate postume da un altro pesciatino illustre, Leopoldo Galeotti, deputato della Destra Storica alla Camera e poi Senatore del Regno. Presso il Gabinetto Viessieux di Firenze vi sono le edizioni originali, consultabili dagli studiosi.

LASCITO MORALE: Le idee non si fermano, soprattutto quelle buone.

 

di Giancarlo Fioretti

 
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20/3/2016 - 15:43

AUTORE:
Andrea f.

Ancora complimenti per questa bella storia , universale nelle sue tematiche. Magari se fosse stata pubblicata appena dopo la storia del Giusti , il contesto storico e politico sarebbe stato più chiaro e completo.