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GIUSTIZIA TRIBUTARIA
Anche il Prof. Enrico De Mita critico con le modifiche relative alle incompatibilità dei Giudici Tributari

26/7/2011 - 17:28

Riportiamo l'articolo pubblicato sul Sole 24 ore di ieri 25 luglio del Prof. Enrico De Mita (nella foto) sulla riforma della Giustizia Tributaria e sulla delicata posizione dei Giudici Tributari.


Una cura peggiore della malattia

Giudici tributari, la loro preparazione e imparzialità e correttezza sono problemi seri. Dovrebbero essere, da questo punto di vista, giudici come gli altri con tutti i requisiti che la Costituzione prevede. La dottrina va continuamente alla ricerca del giusto processo tributario. Ma sono i contribuenti e l'amministrazione che aspettano un processo degno di questo nome.

È dagli anni '50 che si discute sul giudice tributario e la quantità delle liti obbliga il legislatore a ricorrere a soluzioni di compromesso che attengono alle spese, alla preparazione dei giudici, al loro compenso, alle incompatibilità. Ma il difetto più grosso della giurisdizione tributaria è la sua dipendenza dall'amministrazione, che non solo influenza la struttura e il funzionamento di essa ma interviene addirittura con circolari interpretative sul suo funzionamento. La Corte costituzionale, pur di mantenere in vita le commissioni tributarie, che in qualche modo funzionassero, ha emesso decisioni contraddittorie sulla natura delle stesse (giurisprudenza necessitata). Ma è il cane che si morde la coda. Giudici tributari preparati e dignitosamente pagati sono un'utopia. La crescente quantità delle liti produce condizioni aberranti. L'amministrazione pretende che le commissioni siano docili creature. La quantità delle soccombenze non è tollerata dall'amministrazione.

 

E anziché intervenire sulla qualità degli accertamenti interviene sulle cause di incompatibilità producendo un esodo di circa l'80% dei membri. Si può dire che il contenzioso è una delle tante facce della logica generale della vita dei tributi. Alla base dei condoni vi è anche l'esigenza di liberarsi di situazioni ingombranti, oltre l'esigenza di racimolare gettito.Fra un annuncio e l'altro di grandi riforme della giurisprudenza tributaria (si era parlato del progetto Allorio-Visentini degli anni '50, ma subito smentito) arriva bel bello l'ennesimo decreto legge che irrigidisce (forse più del dovuto) le incompatibilità (sacrosante dal punto di vista dei principi, ma eccessive dal punto di vista pratico), sicché dal gennaio prossimo le commissioni vengono impoverite della maggioranza dei propri componenti. Vengono previsti concorsi riservati a categorie rispettabili ma che ormai erano fuori gioco.

Ora, una materia come questa non può essere disciplinata in fretta con decreto legge.Da alcuni decenni, soprattutto dall'ultimo, le commissioni in qualche modo funzionavano. Sicché la necessità e l'urgenza, oltre la preoccupazione della soccombenza dell'amministrazione, non sussistevano. Da questo punto di vista non esito a rilevare che un decreto legge siffatto si presta a dubbi di legittimità costituzionale, indipendentemente dal suo contenuto. Si dirà che il decreto legge era il solo modo per farlo approvare per la sensibilità del parlamento verso le aspettative dei professionisti interessati. Ma allora si perde solo tempo perché il parlamento potrà intervenire autonomamente.

Complessivamente le commissioni negli ultimi tempi non avevano funzionato male. Molte decisioni dei giudici tributari, specie di quelli regionali, erano più apprezzabili di certe decisioni della Cassazione che abbiamo criticato su queste colonne. La presenza dei giudici ordinari in esse si era fatta sentire per l'influenza sulla impostazione delle cause. Ora è sotto gli occhi di tutti che la riduzione macroscopica dei membri delle commissioni produrrà un rallentamento se non una paralisi della giustizia tributaria. Qualcosa di cui la vita dei tributi non aveva proprio bisogno. La definitività delle decisioni ha pregio economico oltre che giuridico per gli operatori. Credo che un riesame possa essere fatto per riscrivere con maggiore ponderazione le cause di incompatibilità, soprattutto per colmare il vuoto che si potrebbe creare nell'attività delle commissioni.La crisi economica non può giustificare l'abuso del decreto legge. Invece le difficoltà del momento dovevano consigliare di non creare il terremoto, aspettando momenti più sereni e ricorrendo alla legge ordinaria, che sarebbe nata con una analisi più ponderata e più serena. Con questi decreti si aggrava non solo la vita dei tributi ma la vita politica nel suo complesso.

Fonte: Prof. Enrico De Mita Il sole 24 ore 25 luglio 2011
 
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